nanotecnologie

Nanotecnologie: cosa sono e a cosa servono?

Da sempre l’uomo ha osservato le meraviglie naturali nella loro maestosità o microscopicità, ammirandone l’aspetto esteriore, ma volendone indagare tutti i meccanismi più nascosti.

È questo l’impulso che ha portato allo sviluppo della nanotecnologia. Ma cosa significa davvero? Scopriamo cosa si nasconde dietro questa parola.

Cos’è la nanotecnologia?

La nanotecnologia copre quella branca della scienza che utilizza, o crea, materiali dalle dimensioni nanometriche, cioè da diecimila fino a un milione di volte più piccoli di un millimetro.

La continua evoluzione tecnologica ha permesso di osservare, capire, predire e, infine, costruire materiali e sistemi appartenenti al mondo nano.

Un mondo che segue leggi e proprietà diverse rispetto a quelle presenti su scale superiori e apprezzabili dai nostri sensi. La meccanica quantistica la fa da padrona, alterando le proprietà fisiche, chimiche, ottiche ed elettro-magnetiche dei materiali stessi.

Com’è nata la nanotecnologia?

L’idea di base, che ha portato alla nascita della nanotecnologia, fu proposta nel 1959 dal premio Nobel Richard P. Feynman. Fu lui a suggerire di sviluppare una tecnologia che potesse lavorare su dimensioni sempre più piccole fino, idealmente, a raggiungere precisioni atomiche.

Nei decenni successivi, questo stimolo fu messo in pratica da molti scienziati, i quali, studiando la materia vivente attorno a noi, intuirono come, in teoria, ci fossero le basi per progettare e costruire strutture piccole e complesse.

Come funzionano le nanotecnologie?

Produrre le strutture costituenti dei materiali, su scala nanometrica, con lo scopo di avere proprietà specifiche, è l’importante risultato finale a cui porta l’uso delle nanotecnologie.

Come è possibile? Due sono gli approcci con cui può essere sviluppata:

  • bottom-up, l’approccio dal basso, partendo cioè dall’assemblaggio di singole molecole;
  • top-down, l’approccio dall’alto, ovvero mediante una controllata miniaturizzazione del materiale macroscopico.

Ma l’aspetto caratterizzante e unico della nanotecnologia è di ispirarsi a modelli e meccanismi da sempre presenti in natura.

Le cellule stesse, infatti, gestiscono un complesso traffico di nanoparticelle. La loro funzione è quella di racchiudere in uno spazio finito molecole biologiche, destinandole alla distruzione, all’accumulo o al trasporto.

Proprio quest’ultimo risulta essere finemente regolato e altamente specifico, in quanto la nanoparticella può portare sulla sua superficie una sorta di indirizzo per la cellula ricevente.

I messaggi trasportati sono di vitale importanza, poiché comprendono materiale geneticomolecole e proteine necessarie al corretto funzionamento dell’organismo.

Questo processo è quello che più ha ispirato Nanomnia nello studio delle nano e microparticelle. Tali particelle, costituite da materiali biocompatibili, sono ideali per incapsulare sostanze da proteggere e veicolare solo dove necessarie.

A cosa servono le nanotecnologie?

L’approccio multidisciplinare delle nanotecnologie comporta una gamma di applicazioni davvero vasta ed eterogenea.

Milioni di anni di evoluzione hanno affinato una serie di sorprendenti nanotecnologie naturali con le quali abbiamo a che fare ogni giorno e che permettono la vita stessa.

Studiare e replicare questi nano-sistemi porta a sostanziali progressi e benefici nel campo della meccanica, dell’ottica, dell’energia e della medicina.

Non lasciamoci ingannare dalla parola tecnologia, tutto parte dalla natura stessa. Nell’ambiente che ci circonda, infatti, gli esempi sono numerosi e possono avere molti impieghi vantaggiosi:

  • nelle cellule possiamo trovare nano-motorinano-argani proteici, i quali, scorrendo lungo speciali binari, sono i responsabili di tutto ciò che deve essere movimentato in maniera ordinata. Un effetto di alcuni nano-motori è rappresentato dalla contrazione muscolare che, sebbene ci possa sembrare un movimento macroscopico, è in realtà la somma di contrazioni nanometriche;
  • sempre sfruttando il funzionamento dei nano-motori, piccole code, chiamate flagelli, permettono a organismi unicellulari, come i batteri, di muoversi nel loro ambiente. Ciò ha dato lo spunto per progettare il movimento di avveniristici nano-robotche potranno viaggiare nel nostro corpo diagnosticando patologie e distribuendo farmaci;
  • il preciso e coordinato sistema della fotosintesi clorofilliana, capace di trasformare l’energia luminosa in glucosio e ossigeno, è un vero e proprio esempio di nano-centrale energetica. Prendere spunto da questo meccanismo significherebbe avere energia in pratica illimitata, da una fonte rinnovabile;
  • dispositivi nanotecnologici sono i responsabili della sorprendente capacità dei gechi di vincere la gravità, grazie a numerosi nano-peli che si adattano alla superficiemediante un effetto ventosa;
  • la presa dei mitili sulle rocce e la loro capacità di resistere al moto ondoso è dovuta a nano-cannule piene di micelle collose. Materiali con queste caratteristiche chimico-fisiche permetterebbero progressi ovunque venisse richiesta una forte adesione in condizioni estreme;
  • la superficie di certi fiori è naturalmente autopulente, poiché ricoperta da nano-cristalli di cerache permettono alle gocce d’acqua di scivolare via portando con sé le impurità. Ad oggi sono già presenti materiali che, copiando questa nanotecnologia, permettono di rivestire superfici rendendole autopulenti;
  • l’ophiocoma wendtii, una singolare stella marina, in apparenza senza occhi, è in realtà un unico grande occhio formato da campi di microlenti. Il colore stesso, oltre che dalla presenza di pigmenti, può dipendere da nanostrutture organizzate a una distanza tra loro paragonabile alla lunghezza della luce;
  • l’involucro esterno di corpi come il carapace dei coleotteri, le ali di certe farfalle, i petali di alcuni fiori, le squame dei pesci e le piume del pavone possiedono una brillanza e iridescenza maggiore rispetto ai soli pigmenti. L’ottica e l’utilizzo quotidiano del colore potrebbe migliorare prendendo spunto da questi esempi.

Le ricerche nel mondo delle nanotecnologie sono iniziate più di cinquant’anni fa, ma solo dagli anni novanta hanno conosciuto un deciso sviluppo come naturale evoluzione della microtecnologia.

Oggi ci sono ancora enormi potenzialità da sviluppare. La ricerca ha costante bisogno di capacità e sostegno. La nanotecnologia è il futuro.

Nanotecnologie: i pro e i contro del loro uso

L’affascinante e controverso mondo delle nanotecnologie ha, senza dubbio, apportato numerose innovazioni e vantaggi in molteplici settori dalla scienza applicata e, di conseguenza, nel nostro quotidiano. 

Le eventuali ricadute a medio e lungo termine sulla nostra salute sono, però, ancora sconosciute e oggetto di approfondite ricerche scientifiche da parte di tutte le agenzie preposte.

Analizziamo insieme la situazione attuale delle nanotecnologie.

Quali sono le proprietà delle nanoparticelle?

Come dice il nome stesso le nanoparticelle hanno dimensione nanometrica. Questa peculiarità conferisce loro determinate caratteristiche:

  • le proprietà intrinsecheriguardo l’ottica, la meccanica, il magnetismo, la conduzione e l’assorbimento possono essere molto diverse dalle stesse sostanze prese in scala maggiore; 
  • possono attraversare le membrane cellulari, venendo trasportata, nella teoria, ovunque, interagendo quindi con i sistemi biologici e accumulandosi in diversi tessuti; 
  • l’alto rapporto tra superficie e volume conferisce alle nanoparticelle la capacità di essere reattive e catalitiche, quindi potenzialmente molto dannose per le sofisticate e molto regolate reazioni chimiche che avvengono nel nostro corpo.

Dove si possono trovare le nanoparticelle?

nanaparticelle settore alimentare

A ben guardare, le nanoparticelle si possono trovare dappertutto, nei fumi da combustione, in apparecchi tecnologici, nei cosmetici, nei filati, nelle suppellettili
casalinghe, negli imballaggi e nei medicinali. 

 

Al momento più di 500 prodotti hanno nanomateriali tra i loro ingredienti o componenti con i quali possiamo entrare in contatto mediante inalazione, assorbimento dermico e ingestione

Ne sono un esempio:

  • le caramelle e i dolcivengono resi più allettanti dal colorante alimentare (E171), biossido di titanio, il quale oltre a essere responsabile di infiammazioni intestinali, può essere contaminato per circa il 3% da titanio puro sulla cui tossicità c’è più di un sospetto; 
  • gli utensili da cucina sono ricoperti da uno strato nanometrico, di origine sintetica o metallica, per far assumere un aspetto caratteristico o di pietra naturale. Questa copertura, se incisa o graffiata può essere fonte di nanoparticelle, che vengono poi ingerite attraverso i cibi causando infiammazioni intestinali;
  • alcune nanoparticelle vengono prodotte in modo indiretto da fenomeni naturalicome fulmini, eruzioni ed incendi, altre sono opera dell’uomo mediante processi industriali, centrali termiche, inceneritori e traffico stradale contribuendo nel loro insieme all’inquinamento dell’aria e alle varie patologie polmonari.

Le nanoparticelle sono sicure o pericolose?

Dati i molteplici settori e situazioni in cui le nanoparticelle sono presenti, gli studi sui possibili rischi a esse connesse sono continui e sempre più approfonditi. Vediamone alcuni.

EPA e nanoparticelle

L’EPA (agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente) sta monitorando la sostenibilità di molti nanomateriali, determinandone eventuali valori limite di esposizione e concentrazione durante l’intero ciclo di vita dei prodotti dall’estrazione o sintesi fino allo smaltimento

Tra i materiali sotto la lente di ingrandimento troviamo:

  • nanotubi di carbonio presenti nei veicoli, circuiti elettronici e televisori a schermo piatto;
  • nanoparticelle di ossido di cerio, usate come additivo per combustibili e forniture mediche;
  • nanoparticelle di biossido di titanio e di zinco, ingredienti fondamentali in cosmetici, creme solari, conservanti alimentari e vernici;
  • nanoparticelle di argento presenti nei tessuti e negli imballaggi;
  • nanoparticelle di ferro utilizzate in ottica e nella purificazione di acque reflue.

Il progetto SUN

Un altro programma che punta a contribuire alla conoscenza di eventuali rischi che nanomateriali potrebbero apportare alla salute e all’ambiente è il progetto europeo SUN (sustainable nanotechnologies project). 

100 scienziati da 25 enti di ricerca e industrie da 12 Paesi europei, coordinati dal professor Antonio Marcomini, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, stanno analizzando i possibili rischi delle nanoparticelle dalla produzione allo smaltimento. 

Tra i vari nanomateriali analizzati troviamo i già citati nanotubi di carbonio, nanoparticelle d’argento, biossido di titanio, pigmenti e antiagglomeranti in silice.

I 140 articoli scientifici prodotti sono stati utili per elaborare una linea guida per prodotti e processi produttivi più sicuri

L’intervento dell’associazione Que Choisir 

Nel 2018 l’associazione di consumatori francese Que Choisir ha smascherato 9 aziende responsabili di non aver dichiarato la presenza di nanoparticelle nei loro prodotti

Nell’87% degli alimenti analizzati e nel 39% dei cosmetici analizzati sono state rilevate tracce non dichiarate di nanoparticelle, come biossido di titanio e silicio, ossido di ferro e zinco e nerofumo. 

Un esempio sono i famosissimi confetti colorati alle arachidi M&M di Mars: il 35% del biossido di titanio è risultato essere costituito da nanoparticelle.

EU-OSHA e disposizioni legislative 

Un’ulteriore riflessione va fatta sui rischi per chi produce ed è esposto a nanomateriali per i quali non esistono ancora limiti legislativi di esposizione, ma solo valori di riferimento. 

L’EU-OSHA (agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro) ha di recente aggiornato la propria scheda informativa soffermandosi sui nanomateriali fabbricati sul luogo di lavoro

Gli argomenti affrontati e sui quali si vogliono sensibilizzare soprattutto i responsabili di aziende coinvolte spaziano dalle informazioni dettagliate sulle normative, ai rischi per la salute, ai consigli per come prevenire e mitigare l’esposizione dei lavoratori, fino alle principali vie di esposizione.

Quali sono i benefici apportati dalle nanoparticelle?

Le peculiarità delle nanoparticelle, prima elencate, sono essenziali affinché apportino i grandi benefici per i quali sono state studiate e sintetizzate:

  • l’interazione con cellule tumorali, per amplificare segnali in risonanza magnetica o in tomografia, ha permesso un sostanziale passo avanti nella diagnosi precoce in ambito oncologico;
  • la capacità di essere trasportate nel flusso sanguigno, indirizzando un farmaco in maniera selettiva verso il tessuto da trattare, permette alle nanoparticelle di ridurre il quantitativo di farmaci abbattendo anche gli effetti collaterali; 
  • gli oligoelementi, fondamentali per l’efficienza di molte reazioni biochimiche alla base del nostro metabolismo, possono essere veicolati in forma di nanoparticelle per migliorarne l’assorbimento.

Di certo le nanoparticelle, i nanomateriali e le nanotecnologie in generale rappresentano il futuro, a patto che questa evoluzione vada di pari passo con la piena consapevolezza dei limiti necessari per la sicurezza dell’ambiente e dell’uomo. 

Noi di Nanomnia operiamo con nano e microparticelle biocompatibili e biodegradabili, così da non causare nessun effetto collaterale per l’uomo e agli animali e senza lasciare residui nell’ambiente.

In Sintesi

  • Le nanotecnologie sono accomunate tutte sotto la stessa etichetta ma i nanomaterialisono tanti, diversi fra loro e sottoposti a norme e regole di sicurezza specifiche.
  • Le nanoparticelle usate in medicina o in campo alimentare sono molto controllate e il loro livello di sicurezza è elevato.
  • Altri tipi di nanoparticelle sono meno controllati e sulla loro innocuità esistono dubbi e incertezze.
  • Alcune sostanze che non presentano problemi quando hanno dimensioni maggiori, quando si presentano sotto forma di nanoparticelle hanno dimostrato in laboratorio di avere effetti mutageni e per questo ne è stato vietato l’uso nei processi produttivi.
  • Le istituzioni europeestanno cercando di elaborare una normativa unitaria per la regolamentazionedelle nanoparticelle che entrano a contatto con l’organismo umano o vengono rilasciate nell’ambiente.

Se ne parla sempre più spesso come di una risorsa formidabile nel campo dell’innovazione, e anche in medicina le nanotecnologie sono considerate un’arma promettente che aiuterà a trovare nuove terapie e nuovi strumenti diagnostici, contribuendo a rendere anche il cancro sempre più curabile.

Se ne parla però anche con qualche preoccupazione. Le stesse ragioni per cui le nanoparticelle entusiasmano – ovvero la caratteristica di poter ottenere dalla materia proprietà nuove in termini per esempio di robustezza, leggerezza e reattività chimica – potrebbero comportare anche nuovi rischi, per la salute umana e per l’ambiente, e richiederebbero quindi una cautela particolare.

Cosa sono le nanoparticelle?

Con il termine nanoparticelle si intendono sostanze in cui almeno una delle tre dimensioni fisiche richiede di essere misurata in poche decine di nanometri, ovvero nella scala dei miliardesimi di metro (o milionesimi di un millimetro). È una misura difficile da immaginare: se si visualizza lo spessore di un capello umano, occorre poi provare a immaginare qualcosa di almeno mille volte più piccolo.

Le nanoparticelle possono essere di origine naturale (per esempio prodotte dalla combustione ad alte temperature in particolari condizioni) o artificiale, e in questo caso possono avere forma e dimensioni predefinite o essere il sottoprodotto di una lavorazione industriale.

Da tempo si è scoperto che molte sostanze di cui si pensava di conoscere tutte le caratteristiche presentano, in scala nanometrica, proprietà molto diverse da quelle studiate e note da tempo in scala macro o microscopica. Inoltre si è scoperto che esse possono mutare in modo significativo anche nell’ambito della scala nanometrica, quando vengono modificate anche leggermente forma e dimensioni. In pratica ciascuna variante (materiale, forma, dimensioni) di una sostanza in formato “nano” può dare origine a un comportamento specifico, che richiede di essere valutato con attenzione se entra in contatto con l’organismo umano. 

La nanomedicina è sicura?

Poiché molti processi biologici avvengono nella scala nanometrica, la possibilità di mettere a punto strumenti piccolissimi per interagire con l’organismo appare molto promettente: per questo le pubblicazioni scientifiche che esplorano potenziali applicazioni – per esempio per la messa a punto di principi attivi e strumenti diagnostici più efficaci, di veicoli capaci di rilasciare il farmaco solo dove serve e di rivestimenti ad alta biocompatibilità per protesi e impianti come stent o pacemakers – sono in crescita, anche se nella maggioranza dei casi lo sviluppo è ancora nelle fasi preliminari.

In ambito oncologico le nanotecnologie possono avere un ruolo di primo piano nel potenziare la diagnosi precoce, come dimostrano le numerose applicazioni già presenti in clinica. Grazie a specifiche nanoparticelle unite a molecole capaci di legarsi al tumore, si possono per esempio amplificare i segnali che vengono letti in esami come la risonanza magnetica o la tomografia computerizzata.

Se la diagnosi sta già godendo dei benefici delle nanotecnologie, le applicazioni terapeutiche sono ancora in fase iniziale, anche se i risultati non mancano. Dal punto di vista farmacologico possono essere utilizzate per ridurre la tossicità dei farmaci, creando nuove formulazioni che riescono a entrare nei tessuti in modo selettivo: è già successo con i taxani, molto usati in oncologia e con molte altre molecole in fase di studio. I principali obiettivi sono portare il principio attivo direttamente all’interno del tumore  o delle metastasi, risparmiando i tessuti circostanti, oppure creare una sorta di ‘navicella’ che permetta di trasportare fino al tumore molecole attive  ma troppo instabili perché vi arrivino da sole senza essere degradate per strada.

Sono numerosi i laboratori che in tutto il mondo lavorano per trovare soluzione ai numerosi ostacoli che ancora impediscono alle nanoparticelle di diventare protagoniste della terapia oncologica. Fra questi, il fatto che spesso, quando le nanoparticelle sono legate a un principio attivo (un farmaco antitumorale), esse raggiungono il tumore, ma perdono per strada il loro carico. Risolvere questi problemi permetterà di aggiungere nuovi e potenti strumenti per curare in modo sempre più efficace il cancro.

Dal punto di vista sia della tossicità, sia dell’efficacia, le applicazioni approvate delle nanoparticelle in medicina sono sicure grazie alle regole severe che governano l’introduzione di terapie per gli esseri umani nella routine clinica.

I laboratori che desiderano usare nanoparticelle devono prima di tutto dimostrare che sono innocue per l’organismo. È già accaduto che nanoparticelle studiate con un obiettivo terapeutico abbiano dimostrato di generare problemi a livello cellulare già nella fase sperimentale e per questo siano state eliminate. Quando una nanoparticella arriva alla routine clinica, è già stata ampiamente testata e la sua sicurezza è stata verificata.

Le nanoparticelle sono usate solo in medicina?

L’impiego delle nanotecnologie è oggi in rapidissima crescita. Secondo le stime questo ambito industriale potrebbe valere fino a 75 miliardi di dollari all’anno entro il 2020. Troviamo nanoparticelle nei materiali per costruzioni, nelle materie plastiche, nel packaging, nei cosmetici  e nell’industria alimentare  (sia come additivi , sia nel contenitore allo scopo di proteggere e conservare meglio e più a lungo gli alimenti), nell’industria dell’energia e della protezione dell’ambiente, nell’industria tessile e dei trasporti, nell’elettronica e in ambito militare.

In pratica si trovano già in moltissimi oggetti o sostanze di impiego quotidiano, talvolta a insaputa dei consumatori.

Questa rapida diffusione, combinata con i risultati di alcuni studi che mostrano effetti negativi delle nanoparticelle a livello delle cellule e persino del DNA, hanno risvegliato le preoccupazioni degli esperti e degli enti di controllo. Uno studio dell’Università della West Virginia, per esempio, ha dimostrato che nanoparticelle di carbonio di forma tubolare possono avere effetti cancerogeni simili a quelli dell’amianto se inalate in ambito professionale.

Il numero delle pubblicazioni scientifiche sui nanomateriali censite nel database PubMed cresce al ritmo di decine di migliaia all’anno, mentre le ricerche che indagano sui potenziali effetti per la salute umana sono circa l’8 per cento del totale, ma rimangono tuttora molte aree di incertezza.

Perché esistono ancora incertezze sulla sicurezza dei nanomateriali?

Da anni si è scoperto che gli strumenti con cui da tempo si valuta il rischio di tossicità di sostanze su scala macro- o microscopica non forniscono indicazioni chiare quando si tratta di sostanze in scala nanometrica, come spiega il rapporto europeo “Nanosafety in Europe 2015-2025: Towards Safe and Sustainable Nanomaterials and Nanotechnology Innovations”.

La valutazione del rischio associato a una sostanza si basa infatti sull’identificazione del potenziale pericolo, sulla definizione della relazione tra dose e risposta dell’organismo, sull’identificazione e l’analisi della modalità di esposizione e infine sulla valutazione del rischio associato all’esposizione in ambito professionale o domestico.

Per i nanomateriali è necessario raccogliere una gran quantità di dati (oltre a quelli già citati) senza dare per scontato che sostanze inerti o innocue a livello macro o microscopico lo siano anche quando le dimensioni sono nanometriche. Vale anche il contrario: non si può dare per scontato che un test rassicurante su una nanoparticella di una specifica sostanza sia valido anche per una nanoparticella della stessa sostanza ma di forma o dimensione diverse.

Al momento, quindi, la valutazione di sicurezza richiede studi molto approfonditi con la raccolta di enormi quantità di dati su tutte le fasi del cosiddetto “ciclo vitale” del nanomateriale, che con il passare tempo può persino cambiare alcune delle sue caratteristiche.

Questa valutazione approfondita avviene sistematicamente prima di qualsiasi applicazione in campo medico – dove sono le procedure di approvazione a richiederla – e in ambito alimentare, dove una direttiva europea impone che i nanomateriali siano non solo citati in etichetta ma soggetti alla valutazione preventiva del rischio da parte dell’EFSA , l’Autorità europea per la sicurezza alimentare che ha sede a Parma. Finora sono state concesse autorizzazioni solo per alcuni additivi da usare come materiale plastico a contatto con gli alimenti (soprattutto bevande) e di cui è stata esclusa la migrazione nel cibo.

In altri ambiti la valutazione preliminare appare meno scrupolosa: secondo il progetto danese che alcuni anni fa ha cominciato a censire i prodotti di consumo contenenti nanoparticelle, ci sono attualmente in commercio molte centinaia di prodotti per i quali non sono richiesti studi preliminari di sicurezza (i dati sono raccolti nel sito nanodb.dk, che a oggi censisce oltre 3.000 sostanze). Proprio per questa ragione si sta discutendo a livello europeo una nuova normativa che obblighi i produttori a eseguire test di sicurezza su tutte le nanoparticelle e a segnalarne la presenza e la natura in etichetta.

 

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